5 libri da leggere, non solo perché hanno vinto il premio Campiello

5 libri da leggere, non solo perché hanno vinto il premio Campiello

Qual è il miglior libro scritto da un premio Campiello? Ecco alcuni titoli vincitori di uno dei più prestigiosi premi letterari italiani

Tra i premi letterari italiani più importanti, ogni anno ci riserve delle gemme preziose. Abbiamo selezionato per te i migliori libri scritti da premi Campiello. Qualche giorno fa ti abbiamo già parlato dei migliori libri da Premio Strega, per cui oggi continuiamo questo viaggio tra i libri da premi letterali italiani raccontandoti alcuni libri che hanno vinto il premio Campiello.

Abbiamo anche stilato una classifica dei libri più belli scritti da Premi Nobel e da premi Pulitzer. Oppure puoi salvare il nostro articolo raccoglitore, che racchiude tutti i nostri articoli sui consigli di lettura.

1 Il Premio Campiello

Il Premio Campiello è uno dei più importanti premi letterali italiani. Una giuria di esperti letterari individua i libri pubblicati nel corso dell’anno e, in un’audizione pubblica, ne seleziona cinque come finalisti. Questi libri si chiamano entrano a far parte del Premio Selezione Campiello. Quindi una giuria di 300 lettori, in rappresentanza di diversi gruppi sociali, culturali e professionali di ogni regione d’Italia, ciascuno con un voto, decreta il vincitore della selezione.

Dal 2004 la Giuria di Esperti Letterari assegna anche il Premio Campiello Opera Prima al miglior debutto.

2 L’acqua del lago non è mai dolce | di Giulia Caminito

Iniziamo questa rassegna dei libri che hanno vinto il premio Campiello, con L’acqua del lago non è mai dolce di Giulia Caminito, libro che ha vinto il Premio Campiello 2021.

“Mia figlia scrive bene, ma non in modo appropriato, spreca belle parole per cose insignificanti”.

La storia raccontata è quella di una famiglia invisibile nell’Italia contemporanea, e per invisibile intendiamo gli ultimi degli ultimi. Costretta a sopravvivere al limite della legalità per avere un tetto sopra la testa e cibo da mettere in tavola. Una situazione di totale precarietà dalla quale sembra non esserci via d’uscita, anzi aggravata da continue disgrazie che peggiorano il quadro generale.

Il libro si sviluppa su tre pilastri: disperazione, vita di provincia e relazioni familiari. Tutti temi vissuti con cruda intensità che, in proporzioni diverse, formeranno i mattoni della personalità dei singoli personaggi narrati.

Uno dei migliori libri italiani premiati negli ultimi anni, perché ci fa riflettere su quanto la disperazione sia figlia della povertà. Solo chi l’ha vissuta direttamente può comprenderne la vastità, che in alcune parti del romanzo è perfettamente descritta. Quasi come se una mano uscisse dalle pagine chiedendo aiuto. A pagarne le peggiori conseguenze sono i bambini, costretti a diventare adulti prima del tempo, ad assumersi responsabilità che non gli apparterrebbero, a non avere diritto a sognare e desiderare.

La vita provinciale, in particolare ad Anguillara Sabazia alle porte di Roma, è un po’ come una rinascita. Rapporti interpersonali più sinceri, dove in poco tempo tutti conoscono tutti, e per riconoscersi è importante indicare “chi sono i tuoi genitori”, per capire subito il grado di onestà-ricchezza-valore della famiglia.

Le difficoltà dei rapporti familiari sono invece quelle che si possono riscontrare in ogni famiglia, aggravate in modo esponenziale dai problemi economici, perché se è vero che il denaro non porta la felicità, almeno permette la serenità. Scontri generazionali tra padri e figli, tra chi rivendica spazi sempre maggiori di libertà di pensiero, e chi invece cerca di imporre (anche se con tutte le buone intenzioni del mondo) la propria visione della vita.

Non solo uno dei migliori libri vincitori premio Campiello, ma anche un libro contemporaneo ben scritto, con una ricerca delle parole giuste e degli aggettivi giusti. Sono tanti anche i riferimenti alla contemporaneità, come i titoli dei programmi televisivi o le tipologie di gelato confezionato, di cui ognuno può scegliere il suo preferito.

3 L’Arminuta di Donatella | di Pietrantonio

Nonostante la sua breve lunghezza, l’Arminuta è un vero pugno nello stomaco. Uno dei migliori libri che hanno vinto il premio Campiello, che lascia lettori e lettrici senza fiato, man mano che le righe e le pagine scorrono sotto i loro occhi.

Sebbene Donatella Di Pietrantonio utilizzi un linguaggio apparentemente diretto e disadorno, è in grado di evocare brillantemente il mondo del narratore. Per quanto brusco, tutto viene rappresentato in modo così netto e vivido che rimarrai incantato anche da quelle scene che non raccontano eventi portatori di bellezza.

L’intensità del racconto del narratore del suo “ritorno” è sorprendente. Da bambina non è in grado di riconciliarsi con l’essere allontanata dai genitori che l’hanno cresciuta, e non c’è niente di così straziante come un bambino che viene fatto sentire indesiderato.

Arrabbiata con chi l’ha rifiutata (trattandola come se fosse poco più di un pacco), dovendosi adattare alla povertà della sua famiglia (lontana da quella a cui era abituata) e sopportando le provocazioni dei fratelli, è solo attraverso i suoi studi e sua sorella minore Adriana che il narratore può alleviare la sua disperazione.

Il legame tra le due sorelle è stato reso con incredibile realismo. Adriana è una ragazza così appassionata e resiliente, la narratrice racconta i suoi difficili anni formativi, e la sua narrazione è sottolineata da una smorzata ambivalenza. Nonostante la sua lunghezza, questo romanzo offre un ritratto stratificato di una ragazza divisa tra due famiglie.

In un viaggio introspettivo e stimolante, la narratrice si avventura nella sua infanzia dolorosa, osservando il comportamento degli adulti intorno a lei con una nuova comprensione, pur trasmettendo fedelmente i sentimenti e i pensieri che aveva in giovane età.

Tra i libri da premio letterale italiano dell’autrice ricordiamo anche Borgo Sud. Il nuovo libro è la conferma che la scrittrice riesce a trovare la parola esatta per descrivere sentimenti e situazioni, grazie a una scrittura asciutta ma densissima di significato.

In quel momento non ero pronta a esistere in un futuro diverso dal suo.

Borgo Sud prosegue la storia raccontata nell’Arminuta, ma questo libroperòpuò essere anche letto senza conoscere la storia del libro precedente. Siamo in Abruzzo, in un contesto di pescatori. Amori e relazioni difficili sono i protagonisti.

Certe domeniche d’inverno io e lui non avevamo nemmeno voglia di alzarci dal divano e uscire per le vie della città. Le nostre solitudini affiancate ci scaldavano fino alle ossa.

4  Accabadora | di Michela Murgia

Accabadora di Michela Murgia, oltre a essere uno libri che hanno vinto il premio Campiello, è un romanzo di grande successo degli ultimi anni.

Accabdora è ambientato nella Sardegna di qualche decennio fa. All’inizio del libro, ci viene presentata un’anziana signora, Bonaria Urrai, che ha deciso di adottare in modo informale Maria Listru, la figlia più giovane e poco considerata di un suo povero compaesano. Maria non ha rimpianti per il suo cambio di scenario, arrivando rapidamente a trattare il suo nuovo tutore con amore e rispetto, e gli abitanti del villaggio sempre ficcanaso alla fine perdono interesse per l’evento.

Tuttavia, più Maria diventa vecchia, più si interroga su Bonaria. Anche se apparentemente si guadagna da vivere come sarta, la sua posizione nella società è molto più alta di così. Perché veste sempre di nero? Perché le persone le parlano a bassa voce? E perché a volte esce nel cuore della notte…

Il romanzo d’esordio della Murgia inizia meravigliosamente, dipingendo il quadro di una società che, per la sua posizione lontana dai centri più grandi della civiltà, conserva ancora forti legami con i suoi valori tradizionali. Il lettore è attirato nella storia dalla descrizione delle usanze locali e, sebbene ci siano molte domande rimaste senza risposta, noi (come Maria) siamo più che felici di aspettare il momento giusto:

“Maria non aveva capito niente ma annuì lo stesso, perché non puoi sempre aspettarti di capire tutto quello che senti nel momento in cui lo senti. In ogni caso, aveva ancora l’impressione che Tzia Bonaria facesse la sarta”

La domanda, ovviamente, è se Maria sarà altrettanto felice quando scoprirà esattamente cosa fa effettivamente Bonaria…

Non entrerò troppo nella trama di Accabadora, ma è sicuro dire che il ruolo della donna è complesso e comporta alcuni seri dilemmi etici. Circa a metà del romanzo, Bonaria si trova di fronte a un tale dilemma quando un giovane, a cui è stata colpita una gamba e poi amputata, le chiede aiuto che non è disposta a fornire.

Un romanzo affascinante che trascina il lettore.

5 Venuto al mondo | di Margaret Mazzantini

Leggendo questo libro, all’inizio può essere comprensibile quasi odiare la protagonista, trovandola immatura e irritante. Tuttavia, in retrospettiva, poi ti rendi conto che i capitoli lenti all’inizio del libro sono una parte vitale, che stabilisce il carattere e la motivazione per l’azione successiva. Uno dei libri che hanno vinto il premio Campiello più acclamati.

Gran parte della storia di questo libro Premio Campiello 2009 è ambientata durante l’assedio di Sarajevo. La storia e i personaggi catturano attraverso le dolorose descrizioni concrete della vita quotidiana e del degrado della città. È questo atteggiamento che colpisce allo stomaco, aumentando lo shock e l’indignazione. Ma Venuto al mondo è più dell’assedio, e la storia si snoda e gira prima di raggiungere la fine e una soddisfacente catarsi. Questo è uno di quei libri in cui ogni parola conta. Ogni azione, pensiero e dialogo porta il conto verso quell’ultimo momento per più di un personaggio.

Dopo Non ti muovere“, con una scrittura che è cifra inconfondibile di identità letteraria, Margaret Mazzantini ci regala un grande affresco di tenebra e luce, un romanzo-mondo, opera trascinante e di forte impegno etico, spiazzante come un thriller, emblematica come una parabola. 

6 La tregua | di Primo Levi

Chiudiamo questa selezione di libri che hanno vinto il premio Campiello, con La tregua di Primo Levi, il primo libro vincitore del premio, nel 1963.

“Nulla ci appartiene più; ci hanno tolto i vestiti, le scarpe, anche i capelli; se parliamo, non ci ascolteranno, e se ascoltano, non capiranno. Ci porteranno anche via il nome: e se vogliamo mantenerlo, dovremo trovare le forze per farlo, per riuscire in qualche modo a fare in modo che dietro il nome rimanga qualcosa di noi, di noi come eravamo”.

Così Primo Levi descrive l’inizio del processo di “demolizione di un uomo”, l’“offesa” che Auschwitz ha inflitto a tante persone. “Häftling”, scrive in Se questo è un uomo, usando la parola tedesca per prigioniero:

“Ho imparato di essere un Häftling. Mi chiamo 174517”.

In Se questo è un uomo, Levi ribadisce che la sopravvivenza era principalmente una questione di eventi casuali, coincidenze e fortuna. Ma richiedeva anche una resistenza ostinata. Come spiega Levi in ​​una postfazione, è rimasto «determinato a riconoscere sempre, anche nei giorni più bui, nei miei compagni e in me stesso, gli uomini, non le cose».

Levi si aggrappa a questa umanità fino alla liberazione del campo. Ma è stato svuotato dalla fame, dalla fatica e dall’orrore incessante. Il suo senso di sé è stato minato dalla debolezza mentale e fisica e dai compromessi morali necessari per la sopravvivenza.

Se questo è un uomo finisce con Levi in ​​una specie di pericoloso limbo. Non è “annegato”, ma non ci mostra molto sulla salvezza. Le ultime pagine sono strane e brusche. I russi arrivano mentre Levi e un compagno stanno portando un cadavere fuori dalla loro capanna. Si ribaltano sulla barella. Charles si toglie il berretto; Levi si rammarica di non averne uno anche lui. Abbiamo un indizio che Levi abbia ripreso la vita, perché ci dice che ha scritto lettere ad altri sopravvissuti. E questo è tutto.

È nel sequel La tregua che Levi ci racconta come ha ricostruito la sua umanità dopo che è stata demolita ad Auschwitz. È una lunga scalata verso la luce e, sorprendentemente, è spesso bellissima. In alcuni tratti, anche divertente.

Il libro racconta gli ultimi giorni di Levi al campo nel sud della Polonia prima del suo eventuale ritorno a casa a Torino, attraverso numerose lunghe deviazioni e meandri attraverso l’Unione Sovietica, la Romania, la Cecoslovacchia, l’Ungheria e l’Austria.

La Tregua è piena di meraviglia. All’inizio, ad esempio, Levi si addormenta in una capanna del telegrafo vicino a una linea ferroviaria. Quando si sveglia, il telegrafista lo vede alzare la testa e gli pone accanto“un’enorme fetta di pane e formaggio”. Dopo le descrizioni di Levi della scarsità e della brutalità di Auschwitz, questa abbondante generosità sembra speciale. Ma è ciò che viene dopo che è più miracoloso.

“Sono rimasto sorpreso“, scrive Levi, “e temo di non averlo ringraziato”.

È un piacere incontrare battute così spensierate in La tregua dopo le miserie di Se questo è un uomo. In quest’ultimo, c’era la sensazione paralizzante e spaventosa che Levi non avesse altra scelta che perlustrare l’ambiente circostante alla ricerca di ogni dettaglio che potesse cambiare la sua capacità di sopravvivere. Ne La tregua, vediamo una nuova curiosità risvegliarsi, mentre Levi si diletta in ciò che lo circonda.

La tregua assume anche una qualità picaresca, con il suo eroe che fornisce una ricca varietà di schizzi di personaggi ironici e rappresentazioni affascinate di terre e popoli. Ma ci sono anche duri sussulti della realtà: tante notti trascorse in vagoni ferroviari in stallo, effrazioni forzate in campi profughi sgangherati, numerose incertezze e pericoli.

E c’è l’ombra di Auschwitz. A volte Levi ci ricorda il campo per mostrarci come sono scomparsi i suoi sistemi crudeli. Le recinzioni di filo spinato hanno dei buchi. I soldati che incontra sono ubriachi, addormentati o allegramente disponibili. La spietata efficienza delle SS è stata sostituita da burocrazie locali confuse e imprevedibili. Fondamentalmente, questa volta, il treno lo porta via e fuori pericolo. Levi non è più un häftling. Ora ha vestiti, scarpe, un nome.

L’ultima parola del libro è agghiacciante. È il “comando dell’alba” per alzarsi:

“Wstawàch”

 Nonostante tutta la gioia de La tregua, Auschwitz non è mai lontana.

Non solo uno migliori libri scritti da premi Campiello, ma un libro che tutti dovrebbero leggere nella vita, per ricordare le violenze assurde di cui sono stati capaci alcuni uomini nei confronti di altri uomini.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *