4 libri di Umberto Eco che devi assolutamente leggere

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Quali sono i migliori libri in assoluto di Umberto Eco? Ecco i romanzi imperdibili per una lettura su più piani del presente e del futuro

Umberto Eco ha scritto tanti libri e le sue opere possono conservare lo status di opere mai banali. I temi trattati nei libri di Umberto Eco spesso si intrecciano alla volontà di sapere dell’essere umano, alla sua capacità di articolare il linguaggio e di utilizzarlo in tanti modi.

I romanzi di Umberto Eco hanno il segno distintivo di una prosa che prende il lettore e lo porta pagina dopo pagina a voler scoprire cosa succede. A volte c’è un indagine, altre un mistero, ma in ogni caso ci sono sempre significati da cogliere su più piani. Ecco i migliori libri di Umberto Eco secondo noi. 

Se non lo hai ancora fatto, ti consigliamo anche di salvare tra i preferiti il nostro articolo sui consigli di lettura, per rimanere costantemente aggiornato sulle recensioni a tema letterario che pubblichiamo.

1 Il nome della rosa

Non possiamo iniziare quest’articolo sui libri di Umberto Eco se non con “Il nome della rosa”, uno dei suoi romanzi più famosi, da cui è tratto anche un film. Ambientato sull’orlo della prima età moderna, un’epoca che rimane una pietra miliare nella lotta per il potere tra il papa e l’imperatore romano, il romanzo d’esordio di Umberto Eco, Il nome della rosa, è tanto un misterioso caso di omicidio da risolvere, quanto una finzione storica. Il XIV secolo fu uno dei periodi peggiori per il cattolicesimo. Non solo la chiesa vide la nascita di vari ordini religiosi, ma la divisione interna portò anche all’elezione di una serie di papi e antipapi da Avignone e Roma.

È in questo contesto che si presenta la controversa vicenda di Adso. Nel 1327, Guglielmo di Baskerville viene inviato a partecipare a un conclave dove i leader dell’Ordine Francescano incontreranno i rappresentanti del papato per risolvere amichevolmente le controversie. I francescani credono che Cristo sia vissuto nella povertà e, quindi, sposano la povertà come una virtù. Riconoscere la loro posizione significherebbe che la chiesa dovrebbe modificare i suoi modi di vivere e separarsi lentamente dalla sua strabiliante ricchezza accumulata nel corso di decenni.

In aggiunta a ciò, il nuovo imperatore romano, non vede di buon occhio la forza crescente della Chiesa e quindi i suoi obiettivi sono allineati con i francescani. L’abate del monastero dove si riuniranno le delegazioni è in imbarazzo. Una settimana prima del loro arrivo, uno dei loro studiosi si suicida, o almeno così sembra. Nel corso dei giorni, muoiono altri studiosi.

L’abate è esausto e ha bisogno che la questione venga risolta prima che arrivino i rappresentanti della chiesa, perché non lo prendano come un segno di aggressione. Quindi, per suo volere, Guglielmo e il suo giovane sostituto benedettino, Adso, si impegnano per risolvere il mistero che avvolge questo monastero. In questo romanzo di Umberto Eco troviamo un’abbazia con passaggi segreti e una biblioteca proibita che si dice contenga manoscritti eretici.

Tutto questo sullo sfondo di un pogrom politico di altissimo livello, il magnum opus di Eco è un’ampia dimostrazione di abilità letteraria, l’opera che si insinua in tanti aspetti diversi che non possono essere classificati in un unico genere. Il nome della rosa è uno dei migliori romanzi di Umberto Eco che racconta i tempi del tardo medioevo, senza allontanarsi troppo dalla trama principale del mistero dell’omicidio.

Il nome della rosa però racconta soprattutto un’indagine, usando sia come indizi che come false piste, come sceneggiature e come ricco background, interessando quasi casualmente tutti i tipi di lettori della teologia medievale e di Aristotele. Sotto questo punto di vista ricorda gli artefici narrativi da Conan Doyle nel suo Sharlok Holmes e le serie di omicidi consecutivi in stile Agatha Christie.

Per chiunque abbia un interesse anche solo per metà per la teologia, o per il rapporto tra la Chiesa cattolica e l’Impero Romano in quei tempi, questo libro di Umberto Eco è un racconto incisivo di tutto ciò che non andava bene in quel periodo: una lettura obbligata.

2 Il pendolo di Foucault

Il pendolo di Foucault è il secondo romanzo di Eco, un complesso thriller psicologico che racconta lo sviluppo di uno scherzo letterario che fa precipitare i suoi autori in un pericolo mortale. Al narratore, Casaubon, esperto di Cavalieri Templari medievali, e a due editori che lavorano in una filiale di una casa editrice di vanity press a Milano, viene raccontato di un presunto messaggio in codice che rivela un piano segreto messo in atto dai Cavalieri Templari secoli fa, quando la società è stata costretta alla clandestinità.

Per gioco, i tre decidono di inventare una storia dell’occulto legando una varietà di fenomeni alle misteriose macchinazioni dell’Ordine. Alimentando le loro ispirazioni in un computer, diventano ossessionati dalla loro storia, inventando collegamenti tra i Templari e quasi ogni manifestazione occulta nel corso della storia, e predicendo che il culmine del piano dei Templari di conquistare il mondo è a portata di mano.

Denso, ricco di significato, spesso sorprendentemente provocatorio, è uno dei migliori romanzi di Umberto Eco, un misto di meditazione metafisica, storia poliziesca, introduzione alla fisica e alla filosofia, indagine storica, compendio della mitologia religiosa e culturale… potrei continuare ancora, ma mi fermo qui.

Come in molti libri di Umberto Eco, la narrazione alla fine diventa il modo per raccontare dati e supposizioni, e sovraccarica di implicazioni. Nelle opere di Umberto Eco c’è sempre un intrigante esercizio cerebrale in cui l’autore suggerisce astutamente che l’arroganza intellettuale non può finire bene.

3 Baudolino

Baudolino è un romanzo di Umberto Eco, ambientato durante il sacco di Costantinopoli nel 1204, trae dal Decameron di Boccaccio la sua forma di storie raccontate durante un periodo di crisi, ma ha qualcosa in comune anche con la fantasia favolosa de Le Città Invisibili di Italo Calvino.
 
È la storia della vita di Baudolino, un bugiardo confessato, raccontata allo storico bizantino Niceta Coniate. È finzione – quella di Eco, Baudolino, cantastorie del mondo antico – intessuta nella storia della quarta crociata. Al centro di questa opera di Umberto Eco c’è una brillante presunzione su come la mente umana compone il suo mondo. È un esame del profondo bisogno di storie esplicative – miti, favole, cronache, tradizioni familiari, scienza – e opere in codici e strati che assomigliano ai metodi medievali di interpretazione biblica tanto quanto alla semiotica moderna.

Baudolino vive una storia d’amore familiare che ricorda da vicino le tematiche toccate da Freud. Suo padre Gagliaudo è un contadino italiano, ma racconta la storia di come divenne figlio adottivo e prediletto dell’imperatore del Sacro Romano Impero, Federico Barbarossa. Si innamora – nella classica situazione del casto amore cortese e del lontano desiderio – della moglie del Barbarossa, Beatrice di Borgogna, una specie di passione che vive di fantasia e invenzione. Scrive poesie per un poeta che ama una donna immaginaria che non ha mai visto. Sposa, quasi per caso, una ragazza di 15 anni che muore di parto e dà alla luce un bambino morto.

Il romanzo familiare personale di Baudolino ad un altro livello si riflette nelle infinite lotte teologiche del tempo sull’esatta relazione tra la Trinità cristiana, Padre, Figlio e Spirito Santo, l’esatta natura della carne della Vergine e del Figlio, la natura della presenza del Dio morto nel sangue e nel vino del sacramento. Questo è il campo di Eco e i dibattiti sono dettagliati, oscurantisti, comici e brillantemente sconcertanti.

La storia d’amore di famiglia si estende nella storia d’amore del viaggio, nella storia d’amore della leggenda e nella storia d’amore del desiderio. Baudolino è un falsario di finzioni: le sue poesie d’amore assomigliano a Cyrano, inventa una lettera del leggendario Prete John, sovrano di una favolosa terra lontana, e inventa mappe immaginarie del mondo conosciuto o speculativo.

Baudolino e un gruppo di compagni di viaggio chiamano Prester John e si metteno alla sua ricerca, seguendo le loro mappe contraffatte e la loro lettera inventata. Incontrano bestie e mostri immaginari – giganti e creature con gli occhi nel petto, bestie saltellanti con un piede e bellissime ipazie, metà vergini e metà capre – creature dei fantastici viaggi di Mandeville, diventate solide in questo racconto. Le stesse creature risultano essere in continua disputa sulla sostanza del Figlio e del Padre, il reale e il fantastico che si rispecchiano a vicenda.

In questo libro di Umberto Eco anche l’idea del vuoto fa parte di questo tropo complesso e multistrato. La natura detesta il vuoto e le cose precipitano nel vuoto del vuoto creato nella mente. Se Dio non esistesse sarebbe stato necessario inventarlo. Eco è uno studioso delle varietà di inventiva con cui riempiamo gli spazi della nostra conoscenza e della nostra esperienza, dall’aria ai corpuscoli, dai sogni ad occhi aperti alle poesie, dalle bugie ai miti, dai falsi ai mostri.

In quest’opera di Umberto Eco la morte di Federico Barbarossa è presentata come un classico mistero della “stanza sigillata”, dal moderno romanzo poliziesco, in cui l’imperatore potrebbe essere stato ucciso da un numero qualsiasi di ingegnosi congegni, inclusa una macchina per fare il vuoto. Anche noi siamo disfatti in modi fantasiosi.

Baudolino è un moderno racconto sbarazzino, che si estende nel tempo e nel luogo, nei fatti e nella fantasia e, a parte, significativamente, dalla sua apertura, non ha una vera voce propria. Questo romanzo di Umberto Eco si inserisce in una tradizione profondamente radicata nella letteratura italiana, in quella nozione di opera letteraria come mappa del mondo e del conoscibile, di una scrittura spinta da una sete di conoscenza che può essere a sua volta teologica, speculativa, magica, enciclopedica.

4 Il cimitero di Praga

Si dice spesso che scrittori ambiziosi sfidino i loro lettori. Questo è certamente vero nel caso di Umberto Eco e del suo romanzo “Il cimitero di Praga“, ma non, forse, nel modo previsto. In senso lato, “Il cimitero di Praga” può essere visto come un tentativo di esplorare la mente di un fanatico dall’interno, di spiegare i pregiudizi pieni di odio e le pubblicazioni del 19° secolo e di offrire uno sfondo plausibile per la composizione del famigerato massetto antisemita “I Protocolli dei Savi di Sion”.

In tipico stile Eco, il romanzo collega perfettamente la maggior parte delle mitologie cospirative dell’epoca. Dietro ogni guerra, ogni rivoluzione, ogni trionfo o disastro finanziario, gli illuminati possono sempre individuare la mano nascosta dei gesuiti, degli ebrei, dei massoni, dei carbonari, della polizia segreta, dell’anarchismo internazionale o persino di Satana stesso. Mettendo da parte le complessità strutturali del romanzo, “Il cimitero di Praga” ripercorre sostanzialmente la vita e la carriera di Simone Simonini, metà italiano e metà francese. Cresciuto da un nonno che incolpava di tutto gli ebrei e da un padre che vedeva ovunque l’influenza maligna della Compagnia di Gesù, il giovane Simonini cresce ossessionato dal concetto di cospirazione.

Intellettualmente, è plasmato dalla sua lettura della narrativa più orribile dell’epoca. Più tardi, da giovane, Simonini scopre di possedere il dono di imitare la calligrafia di chiunque, il gusto di vestirsi con abiti clericali, l’orrore della carne femminile e di ogni forma di sessualità. Esibisce anche l’ossessione di un gastronomo parigino per il cibo squisito e quasi senza alcun senso morale.

Con il passare degli anni, il nostro protagonista – difficilmente si può definirlo un eroe – lavora come spia e falsario, alla fine tradisce tutti quelli che conosce e periodicamente aggiorna le ultime novità sulla tecnologia delle bombe. Agisce come un doppio agente omicida all’interno dell’esercito di Garibaldi, presenta un resoconto oculare della Comune di Parigi e della sua ferocia, aiuta a incriminare falsamente il capitano Alfred Dreyfus, alla fine soffre quello che potrebbe essere un caso di doppia personalità e incontra persino il giovane Sigmund Freud. Oh, sì, e anche lui partecipa a una Messa Nera e immagina la Soluzione Finale.

Il cimitero di Praga è quindi solo in parte storico. Affronta sia i fanatici più nefasti dell’umanità che alcune spiacevoli verità contemporanee, in particolare che troppo spesso il nostro senso di “identità è ora basato sull’odio . . . per chi non è lo stesso”. Uno degli antisemiti del libro di Umberto Eco è così completamente illuso che alla fine annuncia che

“l’idea che Cristo fosse ebreo è una leggenda creata da persone che erano essi stessi ebrei. . . . Gesù era infatti di razza celtica, come noi francesi”.

Chi potrebbe dubitare di una verità così evidente?

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